Mi-ja è una donna anziana con molti problemi: deve crescere l'antipatico nipote, lasciatole dalla figlia dopo il divorzio, prendersi cura di uno scorbutico anziano non autosufficiente, convivere con il letale morbo di Alzheimer, che inizia a fare breccia nella sua mente. Un giorno, decide di iscriversi ad un corso di poesia, ma non riesce a comporre alcun verso, faticando a trovare quell'ispirazione che, come afferma il docente, può venire solo dal proprio cuore.

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Le poche certezze della sua vita vanno in frantumi quando viene avvertita dal padre di un compagno di scuola del proprio nipote che il ragazzo è direttamente coinvolto nel suicidio di una sua compagna di scuola, buttatasi da un ponte dopo essere stata per mesi oggetto di violenze. Eppure, anche di fronte ad uno scenario così sconfortante, Mi-ja continua a cercare nella poesia la propria salvezza e un giorno…

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Vincitore del premio per la miglior sceneggiatura all'ultimo Festival di Cannes, Poetry era un film rischioso. Tanti sono gli elementi che avrebbero potuto spostare il suo baricentro verso il melodramma o la retorica fine a sé stessa. Invece, vuoi per la sapiente e asciutta regia di Lee Chang Dong , vuoi per la straordinaria interpretazione di Jeong-hee Yoon, il film funziona alla perfezione e cesella uno dei più emozionanti ritratti femminili degli ultimi anni.

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Tanti i temi trattati, seppur indirettamente, nel film: dalla condizione della donna, ancora sottomessa di fronte agli uomini (la protagonista è angariata dal nipote e “usata” dai genitori degli altri ragazzi coinvolti nel fattaccio; la madre della ragazza suicida “si può corrompere”), alla difficoltà di essere anziani e malati in un mondo che corre troppo velocemente e spesso nella direzione sbagliata.

Poetry è un film spesso silenzioso, dove sia i membri del cast sia il regista lavorano di sottrazione, evitando accuratamente ogni battuta di troppo e parlando al pubblico con un'immagine, uno sguardo, un'espressione. Dolente ma ottimista, il film trasforma la poesia nel più efficace dei mezzi narrativi possibili (la composizione letta nel finale è di rara bellezza) e ci ricorda per l'ennesima volta che l'essenziale è invisibile agli occhi.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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